La concessione in uso di sale e locali da parte dei Comuni è una pratica diffusa che, sebbene a prima vista possa sembrare una semplice attività amministrativa, presenta risvolti fiscali complessi e in continua evoluzione, in particolare per quanto riguarda l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA). Per gli enti locali, la corretta classificazione e la conseguente gestione fiscale di tali operazioni non sono solo una questione di conformità normativa, ma un elemento cruciale per evitare rischi di contenzioso con l’Amministrazione finanziaria e per ottimizzare la gestione delle risorse.
1. Il Principio Generale della Rilevanza IVA e i Suoi Presupposti
L’orientamento prevalente dell’Amministrazione finanziaria italiana, supportato da consolidati principi comunitari, è che la concessione a titolo oneroso di sale comunali rientri, di norma, nel campo di applicazione dell’IVA. Già da tempo, attività quali la “Gestione beni demaniali e patrimoniali” e, più in generale, i “Servizi resi nell’interesse di privati e dietro corrispettivo” (ovvero servizi a domanda individuale, oggetto di approvazione di specifiche tariffe) sono state considerate rilevanti ai fini dell’imposta.
Perché un’attività sia considerata commercialmente rilevante ai fini IVA, devono sussistere contemporaneamente quattro presupposti fondamentali:
- Oggettivo: deve trattarsi di una cessione di beni o una prestazione di servizi. La concessione d’uso di un locale rientra chiaramente nella categoria delle prestazioni di servizi.
- Soggettivo: l’operazione deve essere effettuata da un soggetto passivo IVA, nel nostro caso il Comune che opera in veste di ente commerciale (e non come ente pubblico che esercita i suoi poteri autoritativi).
- Territoriale: l’operazione deve essere effettuata nel territorio dello Stato.
- Oneroso: deve essere previsto un corrispettivo o una tariffa.
Il fulcro della questione risiede spesso nella valutazione del presupposto “soggettivo” e “oneroso”. Se la concessione in uso di una sala per riunioni non istituzionali, eventi privati, congressi o altre finalità comporta il pagamento di una tariffa o un corrispettivo, essa assume, di regola, natura commerciale e, di conseguenza, è assoggettata all’aliquota IVA ordinaria. Questo è vero anche quando la sala si trova all’interno di immobili che non sono primariamente adibiti ad attività commerciali (come ad esempio il municipio), purché la specifica attività di concessione integri i presupposti impositivi di un’attività organizzata e abituale, non esercitata in veste di pubblica autorità.
2. rilevanza iva della concessione in uso: il quadro generale
In via generale, la concessione di sale comunali a fronte di tariffe e corrispettivi assume, di regola, rilevanza IVA. L’Amministrazione finanziaria ha storicamente considerato come attività rilevanti ai fini IVA la “Gestione beni demaniali e patrimoniali” e, più in generale, i “Servizi resi nell’interesse di privati e dietro corrispettivo”. Tali principi sono stati enunciati già con la Circolare del Ministero delle Finanze, Direzione Generale Tasse n. 18/360068 del 22 maggio 1976, che ha individuato tra le attività rilevanti IVA le “prestazioni rese al pubblico da parte delle pubbliche amministrazioni locali”. Pertanto, l’utilizzo di sale per riunioni non istituzionali, matrimoni, eventi o altre finalità che prevedono un pagamento è solitamente soggetto a fatturazione con aliquota ordinaria.
Tuttavia, è essenziale distinguere tra attività che rientrano nella sfera commerciale dell’ente e quelle che mantengono una natura istituzionale o sono a titolo sostanzialmente gratuito. La rilevanza IVA si concretizza se la gestione dei beni integra i presupposti impositivi di cui all’articolo 4 del D.P.R. 633/1972 (Decreto IVA), ovvero l’esercizio di attività d’impresa, che presuppone un’attività organizzata, in via abituale, a pagamento e non in veste di pubblica autorità. Inizialmente, la Circolare Ministeriale 8/E/1993 aveva limitato la rilevanza IVA ai casi di immobili già utilizzati nell’ambito di attività commerciali. Successivamente, anche sulla base dell’orientamento comunitario (come la Direttiva 2006/112/CE del Consiglio), la Risoluzione Ministeriale 169/E del 29 dicembre 2009 ha chiarito che la gestione dei beni può concretizzare di per sé un’attività economica se integra i presupposti impositivi. Questo significa che anche la concessione in uso di “sale” inserite in immobili comunali non utilizzati in altre attività commerciali (quali, ad esempio, il municipio o immobili a disposizione per matrimoni o riunioni di partiti e associazioni) può essere assoggettata a IVA se sono presenti tali presupposti.
3. il controverso caso della concessione di sale per la celebrazione di matrimoni
Un caso specifico e frequentemente dibattuto è la concessione di sale per la celebrazione di matrimoni civili. Da un lato, la celebrazione stessa del matrimonio civile costituisce una funzione pubblica, intrinsecamente legata al servizio di stato civile e demandata al Sindaco che agisce in veste di Ufficiale di Governo. Questa funzione, in quanto esercitata nell’ambito dei poteri pubblicistici dell’ente, non è rilevante ai fini IVA. Questa interpretazione è stata supportata dalla Risoluzione Ministeriale 236/E del 29 agosto 2007.
Tuttavia, il quadro interpretativo si è evoluto. Un’analisi specialistica del settore ha evidenziato come la concessione a pagamento di spazi attrezzati per matrimoni rientri nella definizione di “concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili” ai sensi dell’articolo 7-quater, comma 1, lettera a) del D.P.R. 633/1972, norma che recepisce la Direttiva comunitaria IVA (ora Direttiva 2006/112/CE). Di conseguenza, la messa a disposizione di tali spazi da parte dei Comuni assume rilievo ai fini IVA in Italia. Ne consegue che il Comune, per il quale l’attività rileva ai fini IVA, deve emettere fattura con applicazione dell’IVA (con aliquota ordinaria), indipendentemente dalla circostanza che la controparte sia un privato (i futuri sposi) o un soggetto IVA (es. società organizzatrice di eventi, sia residente che non) per le tariffe previste per sale di pregio alternative a quelle che istituzionalmente deve garantire il Comune (es. Ufficio del Sindaco, sala Giunta), per le quali le tariffe si considerano fuori campo Iva ex art. 4, comma 5, del Dpr. n. 633/1972, in quanto entrate rientranti nella funzione istituzionale del Comune e quindi nell’esercizio dei poteri autoritativi.
Se viene offerta una alternativa di maggior pregio e con tariffa maggiore, si ritiene che gli sposi non stiano rimborsando le spese (es. pulizie, energia, ecc.) che la funzione istituzionale che il Comune deve garantire, ma stiano invece pagando un canone per usufruire di un locale di pregio, e quindi il Comune si pone in concorrenza con un potenziale mercato privato, motivo per cui rientra nell’esercizio di impresa soggetto ad IVA con aliquota 22%.
E’ necessario precisare che l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad un quesito formulato da un Comune, aveva chiarito che la celebrazione di matrimoni civili fuori dell’orario d’ufficio o in una sede comunale staccata dal Municipio non è attività commerciale assoggettabile a tassazione e, pertanto, i relativi costi addebitati agli sposi (personale, pulizie, consumo di energia elettrica) non devono essere assoggettati a Iva (ris. min. Finanze, Ag. Entr., 23 agosto 2007, n. 236/E). Si ricorda che, l’attività di celebrazione dei matrimoni costituisce la modalità di espletamento del Servizio di “Stato civile” posto in essere dal Sindaco che, in tale veste, rappresenta un Pubblico Ufficiale (artt. 106 e 107 del Codice civile).
In definitiva:
– nel caso in cui le somme richieste agli sposi si configurino come rimborso delle spese “vive” sostenute dal Comune (es. utenze, pulizie, ecc.), le funzioni esercitate dal Sindaco (o da un suo delegato), che agisce nella veste di Ufficiale governativo e sovrintende alla tenuta dei Registri di Stato civile non è attività commerciale assoggettabile a IVA;
– nel caso in cui le somme richieste agli sposi, per matrimoni civili celebrati in locali diversi dalla sede comunale, adibiti abitualmente ad attività commerciale (es. un immobile storico all’interno del quale è presente un museo con ingresso a pagamento che costituisce attività commerciale gestita direttamente dal Comune), l’Ente potrebbe richiedere agli sposi la corresponsione di un canone per l’uso temporaneo dei locali (in base ad esempio ad apposite tariffe deliberate dalla Giunta comunale), il quale, qualora l’attività non sia del tutto occasionale ma consista in un servizio offerto abitualmente ai cittadini, deve essere assoggettato ad Iva ad aliquota 22%, alla stregua di un qualsiasi canone di concessione o locazione commerciale, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 1), del Dpr. n. 633/1972 e dell’art. 4 (esercizio di impresa) del Dpr. n. 633/1972.
4. concessione sale in contesto elettorale o referendario: le aliquote speciali
Per quanto riguarda la concessione di sale attrezzate per lo svolgimento di manifestazioni legate a campagne elettorali o referendarie, la situazione presenta delle specificità relative all’aliquota IVA. L’articolo 18, comma 1, della Legge 515/1993, come modificato dalla Legge 90/2004, ha esteso l’aliquota IVA agevolata del 4% – originariamente prevista solo per il materiale tipografico attinente alla campagna elettorale – anche all’affitto di locali o sale attrezzate.
Tuttavia, l’applicazione di tale aliquota ridotta è strettamente circoscritta:
- Periodo di applicazione: L’agevolazione è valida esclusivamente nei novanta giorni precedenti le elezioni della Camera e del Senato, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, nonché, nelle aree interessate, nei novanta giorni precedenti le elezioni regionali, provinciali, dei sindaci e dei consigli comunali.
- Natura agevolativa: Poiché si tratta di una deroga al principio generale dell’aliquota ordinaria, l’interpretazione di tali norme deve essere rigorosa e non estensiva. A conferma di ciò, la Corte di Giustizia UE, sentenza 18/01/2001 nella causa C-150/99 e la Risoluzione Ministeriale 149/E del 13 dicembre 2005 ribadiscono la natura agevolativa dell’aliquota ridotta e, di conseguenza, la sua non estensibilità per analogia.
- Referendum: In assenza di specifiche indicazioni normative o di prassi (come circolari o risoluzioni) che equiparino esplicitamente le campagne referendarie a quelle elettorali ai fini IVA, prevale la cautela e si suggerisce l’applicazione dell’aliquota ordinaria sulla concessione in uso di sale attrezzate in occasione di iniziative inerenti la campagna referendaria.
5. annotazione dei corrispettivi e obbligo di fatturazione: un cambiamento rilevante
Un aspetto cruciale per la corretta gestione fiscale è la modalità di documentazione dei proventi derivanti dalla concessione delle sale. La possibilità di registrare i corrispettivi giornalieri (senza emissione di fattura per ogni singola operazione) è stata storicamente ammessa per alcune categorie di servizi a favore di privati, ma recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate hanno ristretto tale prassi.
La Direzione Regionale del Veneto dell’Agenzia delle Entrate, in una sua risposta ad interpello (risposta ad interpello 907-1189/2022), ha negato a un Comune la possibilità di annotare a corrispettivi i proventi derivanti dall’affitto di spazi, richiedendo invece l’emissione di fatture.
La motivazione addotta è che, non essendo stato emanato il decreto di attuazione previsto dall’art. 22, comma 2, del D.P.R. 633/1972, l’annotazione a corrispettivi per proventi caratterizzati da frequenza, uniformità e importo limitato non è più ammessa. Questa indicazione, sebbene riferita a un caso specifico, ha implicazioni più ampie e riguarda tutti i servizi i cui proventi venivano tradizionalmente annotati a corrispettivi dagli enti pubblici, inclusa la concessione in uso di impianti sportivi o di altri spazi attrezzati.
In sintesi, in virtù dell’art. 18, comma 2, del D.P.R. 633/1972, “Per le operazioni per le quali non è prescritta l’emissione della fattura, il prezzo od il corrispettivo si intende comprensivo dell’imposta”. Tuttavia, in tutti gli altri casi (e in assenza delle specifiche condizioni per l’annotazione dei corrispettivi), l’ente locale è ora generalmente tenuto all’emissione della fattura per ogni operazione di concessione di sala che rileva ai fini IVA. Qualora la fattura sia emessa su richiesta del cliente (ai sensi dell’art. 22, comma 1, primo periodo, del DPR n. 633/72), il prezzo o corrispettivo originario, se già incassato al lordo, deve essere diminuito della percentuale indicata nell’art. 27, comma 4, dello stesso decreto, per scorporare l’imposta che è già considerata inclusa.
Conclusioni e raccomandazioni operative
La gestione fiscale dell’utilizzo delle sale da parte dei Comuni è un’attività complessa che richiede un’attenta e puntuale analisi di ogni singola operazione, alla luce non solo delle norme primarie ma anche dei numerosi documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate e della giurisprudenza.
Per i Comuni, è fondamentale:
- Valutare attentamente la natura di ciascuna concessione (istituzionale, commerciale, mista) per determinarne la rilevanza IVA e l’aliquota applicabile, tenendo conto delle indicazioni fornite dalle circolari e risoluzioni ministeriali.
- Assicurarsi che per tutte le concessioni rilevanti ai fini IVA vengano emesse regolari fatture, salvo i rari casi in cui sia espressamente prevista la possibilità di annotazione dei corrispettivi.
- in caso di dubbi sulla corretta applicazione inviate la vostra richiesta di chiarimenti all’indirizzo mail paolo@nazzaropaolo.it.